I bravi ragazzi non vanno in gita ad Amsterdam. I bravi ragazzi passeggiano per Parigi, visitano il Louvre, vanno a Barcellona per ammirare le opere di Gaudì, o al massimo fanno i finti alternativi a Londra, vagabondando per Camden Town.
Io però ero incuriosita da Amsterdam, non avevo dubbi, una volta nella vita ci sarei voluta andare. Volevo vedere la casa di Anna Frank, i mulini a vento e i tulipani; e lui voleva farmi felice.
Due biglietti per il paese dei balocchi e in un attimo eravamo lì, a camminare tra viuzze e canali, mano nella mano con la punta del naso ghiacciata. Avevo fatto bene a proporre Amsterdam, è proprio bella, anche se l’unica forma di fumo che contempli è quella che ti esce dalla bocca quando fa un freddo cane, anche se non ti sballi di sesso a pagamento.
Ma ancora non sapevamo come sarebbe accaduto…
È vero, un po’ ti senti a Venezia, ma l’atmosfera è tutta diversa. A Venezia respiri storia, caos e turismo ad Amsterdam l’aria è strana, sa di un tempo sospeso, un tempo che si fa le canne, dove tutto è lento, dove tutto è concesso. La gente passeggia in gregge, ma fondamentalmente è lì per farsi i cavoli propri. E poi diciamolo, se a Venezia finisci per bere vino a ogni bacaro ad Amsterdam finisci per coffee shop.
Giacomo e io non fumavamo, l’unica volta che ci avevo provato era stato a Londra durante una gita scolastica. Un’amica mi aveva allungato una cicca accesa. Io le avevo fatto cenno di mettermela tra le labbra, ma ho mancato la presa. La sigaretta mi è caduta sulla scollatura per poi rimbalzare sulla moquette. Capite da voi che i presupposti per diventare una fumatrice proprio non c’erano. E poi, momento bullo-adolescenziale a parte, quell’odore mi dà fastidio, e odio la gente che non ci fa caso, quelli che te lo fanno respirare soltanto perché a loro sta bene.
Quindi i coffee shop non ci interessavano granché, ma ci siamo entrati per curiosità, giusto per ordinare qualche cocktail sovra prezzato e per non essere completamente fuori luogo. Se visiti Amsterdam una tappa là dentro la devi fare. Un po’ come chi va a Venezia la prima volta e, costi quel che costi, monta in gondola.
Comunque sia io ero più a mio agio fuori, a osservare le palazzine con i tetti spioventi, a mangiare patatine fritte, a gironzolare in bicicletta per i parchi.
L’altro aspetto eclatante di Amsterdam è il suo legame con il sesso. Giacomo e io adoriamo fare l’amore. Anche i bravi ragazzi fanno le capriole. Mi sono spesso chiesta come faccia l’amore un secchione, un bravo ragazzo di primo livello, uno di quelli che vive solo per lo studio. Non sono mai stata a letto con un secchia, chissà, magari ne rimarrei stupita. La gente a letto è tutta diversa.
Comunque sia abbiamo visitato tutti i musei del sesso, è stato divertente. Nessuno mai passa un giorno intero a parlare della storia del sesso, a osservare strumenti di godimento-tortura, a teorizzare l’atto. Ad Amsterdam capita anche questo.
E poi ti ritrovi a spasso per il quartiere a luci rosse. Vorrei fare la ganza ora, quella che non si sconvolge per le prostitute in vetrina, ma la verità è che quel quartiere non mi è piaciuto affatto. Mi ha lasciato un tale disagio addosso, che dopo anni ancora avverto quella sensazione. Sarà legale, sarà tutto quello che volete, ma a me ha fatto venire il mal di pancia. Donne divise per categorie: le snelle, le rifatte, le corpulente, le over, le asiatiche, le trans. Il quartiere a luci rosse mi ha dato più fastidio dell’odore del fumo imposto. A Giacomo non ha fatto venire il mal di pancia, ma lui è un uomo e certe cose non le capirà mai.
Per scaldare le sue mani e il mio animo ci siamo buttati dentro un sexy shop. Che fai, vai a Amsterdam e non ti porti a casa un souvenir? Abbiamo scelto qualche sex toys e deciso di barattare la serata fuori per qualche ora di sano divertimento chiusi in hotel. D’altronde Amsterdam ti fa pensare al sesso, una via sì e l’altra pure.
Ci restava solo l’ultima sera. Il mattino dopo avremmo fatto una gita nelle periferie per osservare i mulini e poi saremmo tornati a casa, una gita da bravi ragazzi. Ma quell’ultima sera si è trasformata in un’avventura che mi è parsa durare giorni.
Abbiamo deciso di provare un dolcetto allucinogeno. Aveva la forma di un innocente muffin al cioccolato e sopra era decorato con delle caramelle gommose. Invogliava.
«Ne dividiamo uno, o facciamo uno a testa?»
Per fortuna abbiamo optato per la prima. Ce lo siamo portato in camera. Ho mangiato la mia metà senza pensarci troppo, sapeva di gioco. Giacomo ha fatto lo stesso. Era buono, il sapore era davvero quello della cioccolata.
Non succede niente… lo sapevo, ci siamo fatti inculare.
E poi… switch! Ho cominciato a ridere senza più riuscire a smettere, Giacomo mi guardava senza capire. Lui era ancora sobrio, ancora per poco. D’un tratto la lingua ha cominciato a formicolarmi, poi il braccio, poi la gamba. Avevo perso il controllo, ma la testa capiva ancora bene e cominciavo ad agitarmi. L’idea che Giacomo fosse in sé mi dava tranquillità, ma poi ho visto switchare di brutto anche lui. Rideva senza ritegno, correva per la camera e urlava che voleva fare sesso. Eravamo fatti.
Abbiamo fatto e rifatto l’amore, in preda agli istinti, alle parole forti e ai movimenti sconnessi, ma tra le sue braccia mi sentivo bene. Poi siamo dovuti correre in bagno. Il caos e poi di nuovo la calma, stesi sul letto a teorizzare, a dirci quanto era folle avere addosso quelle sensazioni. E mi tremava la gamba, il braccio, il cuore. Avevo paura, per il corpo, per i pensieri. Vedevo e facevo cose assurde. Giacomo cercava di tenermi tranquilla, ma dai suoi occhi capivo che aveva paura quanto me.
«Dai, vedrai che ora ci passa… e domani torniamo a casa.»
«E se resto così? Se mi rimane qualcosa nel cervello?»
Ero in paranoia dura.
«Il tizio che ce l’ha venduto ci ha suggerito di assumere dello zucchero se ci fossimo sentiti male.»
«Qui non abbiamo zucchero.»
Siamo usciti dalla stanza scalzi. Era notte fonda. Non eravamo più dei bravi ragazzi in gita, ma solo due strafatti entrati di nascosto nella cucina di un hotel in cerca zucchero.
«Prendiamo della coca cola, anche quella aiuta!»
«Mi fa schifo la coca.»
«Te la bevi lo stesso.»
Ci facevamo luce con i telefoni e barcollavamo di continuo uno addosso all’altro.
«Zucchero, eccolo!»
Ci siamo riempiti le tasche di bustine e siamo tornati in camera. Il gatto della hall ci ha soffiato, gli animali capiscono tutto. In ascensore abbiamo incontrato altri due ragazzi più sballati di noi, ci siamo detti più e più volte: “Hello!” “Hi!” Eravamo tutti italiani.
Siamo rientrati nella stanza e giù di zucchero e coca cola, mentre saliva l’ansia e continuavo a tremare.
«Ora ci mettiamo a letto, dormiamo e vedrai che domattina sarà tutto passato.»
Me li ricordo ancora i sogni di quella notte, credo di essere morta e rinata almeno dieci volte. Il mattino dopo ci siamo scordati della gita che avevamo prenotato. Mi sentivo ancora molto strana, siamo scesi a fare colazione, ma non sono riuscita a mangiare nulla. Qualsiasi cosa mettessi in bocca mi pareva di riempirmi la bocca di farina. Avevo paura.
Giacomo stava meglio, lui si era ripreso. Mi ha fatta passeggiare all’aria aperta fino all’ora del volo di ritorno. Diceva che mi avrebbe fatto bene. Mi sono aggrappata a lui, trascinandomi per le vie della città, che ora osservavo con gli occhi di una cattiva ragazza in gita ad Amsterdam.
Sul volo di ritorno avevo ancora la gamba tremolante. Giacomo ci ha appoggiato sopra la mano. Mi aspettavo un: “tranquilla vedrai che presto passa” e invece…
«Sai amore, quando torniamo a casa, andiamo a cercare un appartamento. È ora che andiamo a convivere».
È così che me l’ha proposto, è così che qualche mese dopo siamo finiti sotto lo stesso tetto, come fanno i bravi ragazzi. Amsterdam fa fare cose da pazzi.
Una Bionda e Una Penna ;-P