Balzo indietro di due anni. Non ho un figlio. Ho un solo cane. Non c’è una pandemia in atto. Non ho una super ricrescita. L’unica cosa uguale è quell’orso del mio ragazzo.
Cosa potrei mai fare con cotanta libertà e una simil compagnia?
Prendere spensieratamente un aereo, non c’è dubbio. Due biglietti direzione Africa. Sì, lo so, l’Africa è grande ma fa figo citare l’intero continente. Dai mi ridimensiono, la nostra direzione specifica è stata la Tanzania. Un sogno che finalmente diventava realtà: il safari. Il mio grande amore per gli animali nel connubio perfetto di libertà e natura.
Come al solito Daniele ed io abbiamo fatto le cose al contrario. Le persone normali infatti prima fanno il safari e poi vanno in un’isola vicina a rilassarsi. Si tratta infatti di un’esperienza da non sottovalutare, non la definirei una vacanza, ma piuttosto un’intensa avventura. È fisicamente molto impegnativo, in quanto prevede sveglie all’alba, praticamente tutto il giorno in auto e pochi sfarzi, motivo per cui poi si ricerca il relax. Ecco, noi invece siamo partiti dall’isola: Zanzibar. Ma lo rifarei altre mille volte. Arrivavamo da un periodo lavorativo intenso, quindi avevamo bisogno di ricaricare le batterie, per poterci godere al meglio l’avventura che ci aspettava. Siamo stati così nella parte sud di Zanzibar per cinque giorni, la zona meno commerciale, quella in mezzo al ‘nulla’. Ogni volta che è ora di scegliere un’isola, sto ben attenta ad optare per la parte più selvaggia e meno frequentata. In passato ho chiuso un occhio solo per Ibiza e Pag, ma credo ne comprenderete le folli e giovani ragioni.
Potrei anche raccontarveli quei giorni di pace e silenzio, ma vi parlerei solo di amache, mare, cibo, mare, palle all’aria, mare, cocktail, mare. Daniele steso a dormire sull’amaca ed io a morto in mezzo all’acqua. Possiamo dunque andare oltre, nel vivo dell’avventura.

Rigenerati, abbiamo lasciato l’isola, per la nostra nuova meta: l’aeroporto di Arusha. Lì ci attendeva la guida. Era tutto organizzato nei minimi dettagli. Normalmente amo lasciare molte cose al caso quando si tratta di viaggi, ma un safari non va improvvisato. Quindi per l’occasione ci eravamo affidati ad un tour operator, che ci guidasse per sei giorni in mezzo a quella natura incontaminata e che ci portasse dritti nella casa dei leoni. La guida era un simpatico ragazzo del posto, giovane ma esperto di quei territori già da moltissimi anni. Abbiamo conosciuto il resto del gruppo, sei persone in tutto, e via tutti pronti a sfrecciare sulla nostra jeep gialla.
Il safari consiste nell’attraversare in auto splendidi parchi naturali e incontaminati, andando alla ricerca degli animali. Si parte all’alba, si pranza al sacco, il più delle volte in auto, visto che è severamente vietato scendere dalla vettura nella stragrande maggioranza dei luoghi e si torna prima del tramonto. Con le chiappe acciaccate dalle buche, le orecchie piene di sabbia, i capelli impastati, punture di mosquito sparse, cotti a puntino dal sole, ma con gli occhi pieni di vita. Si possono trascorrere anche molte ore senza fare avvistamenti. Gli animali sono liberi, motivo per cui la bravura sta molto nella guida, che avendo ormai padronanza e conoscenza di quei posti e delle loro abitudini, sa dove portarti e che percorsi fare. Una volta ‘trovato’ l’animale, si rallenta e si sta lì ad ammirarlo, fino a quando se ne ha voglia. Tutte le foto che vedrete sono state scattate da noi, anzi da Daniele, che si era incaricato del reportage, cosa non facile. Gliene sono stata davvero grata, è riuscito ad immortalare attimi magici, ed io mi sono potuta godere lo spettacolo ad occhio nudo e spensieratamente. Avvistare gli animali e chiedere alla guida di avvicinarsi, era dunque il mio nuovo mestiere. Binocolo alla mano, cappellino comprato per l’occasione, per entrare nel personaggio, e via.

Siamo entrati nel vivo dell’avventura partendo dal Parco Nazionale del Lago Manyara. Gli incontri ravvicinati con gli animali sono cominciati fin da subito. Ricordo ancora l’entusiasmo, già vivo e forte, anche solo per le prime scimmie. Le più atletiche davano spettacolo arrampicandosi sui grandi alberi che ci circondavano, mentre altre se ne stavano pacifiche a grattarsi la schiena l’un l’altra. Era solo l’inizio, ma avevo già capito che c’era un settimo compagno di viaggio, che mi si era appicciato a fianco: la me bambina elettrizzata e piena di stupore. In un attimo ci siamo immersi nella natura e sono comparsi gli gnu, le zebre, le giraffe e gli enormi elefanti. Ci attraversavano pacificamente la strada. Eravamo ospiti in uno spettacolo immenso. Poi la prima grande sorpresa: una leonessa, maestosa e rilassata, stesa in disparte sotto l’ombra di un grande albero. Abbastanza rara da vedere in quel parco. La natura e i suoi doni.

La giornata è volata ed era già ora di ritirarsi. La sveglia l’indomani sarebbe suonata molto presto: direzione cratere di Ngoro ngoro.
La carica con la quale ci svegliavamo in quei giorni era davvero tanta, proprio come quella dei bambini la mattina delle gite. Per arrivare all’interno del famoso cratere abbiamo fatto moltissimi chilometri. Siamo saliti su di una montagna fino alla vetta. Ci siamo dovuti vestire un bel po’, aumentando l’altitudine era arrivato anche il freddo. E poi di nuovo giù, per entrare in quello che viene definito il cratere di Ngoro ngoro, la grande caldera. A differenza degli altri scenari, questo si presentava come un prato verde infinito. La visuale era limpida e aperta, senza vie anguste da percorrere. Era tutto davanti ai nostri occhi. Lo definirei proprio come un grosso pentolone, all’interno del quale si trovano tantissimi animali, che vivono gli uni con gli altri, amministrati solo dalla legge della natura. All’interno dello stesso scenario, a seconda di dove guardavamo, c’erano leoni stesi all’ombra a riposare, elefanti che sfilavano, gazzelle che sfrecciavano, zebre, iene in cerca di carcasse per mangiare, giraffe da capogiro, ippopotami immersi nel fango, uccelli di ogni genere. Ogni meraviglia davvero, in un perfetto equilibrio.

La scena che porto maggiormente nel cuore di quella giornata, è stato il parto di una femmina di gnu. La vita all’interno della vita. La tenacia della mamma, la nascita e subito dopo la grinta del piccoletto. In pochi minuti, dopo qualche tentativo, era già in piedi, pronto ad affrontare la savana. Lo spettacolo della vita.
Una delle particolarità di questo parco è che all’interno dello stesso, vivono e si spostano liberamente i Masai. Muovendoci in auto abbiamo infatti potuto ammirare i loro villaggi. Capanne, bambini che fanno pascolare le pecore, donne che raccolgono acqua ove è possibile trovarla, uomini riuniti sotto l’ombra degli alberi. Interi villaggi autentici da ammirare, senza però avvicinarsi troppo. È molto importante infatti muoversi ed agire con rispetto, se non si vuole essere presi a sassate. Inutile dire, come anche questa giornata sia giunta al termine, senza che ce ne accorgessimo. Siamo rientrati alla base che era davvero difficile catalogare tutto quello che avevamo avuto l’immenso onore di vedere. Ciò che la natura ci aveva fatto il dono di svelarci. Nulla di quello che era accaduto, era pilotato, scontato, o parte di un programma già stabilito. Dovevamo solo essere grati.
Siamo dunque crollati a letto soddisfatti. Pronti per ricaricare le batterie per l’indomani: direzione Serengeti, per trascorrere lì due favolose giornate. Ci aspettava un’esperienza unica, questa volta avremmo infatti dormito all’interno del parco. Il viaggio si faceva sempre più entusiasmante. Abbiamo macinato davvero tanti km, la stanchezza si faceva sentire, ma non appena abbiamo visto il grande cartello con la scritta: Serengeti National Park, tutto è passato. Eravamo pronti per la nuova avventura.

Il Serengeti è un’immensa pianura, nel vero e proprio significato del termine: più di tremila km quadrati. Vi lascio immaginare la vastità di strade da percorrere. Questo parco più di ogni altro può implicare ore ed ore di jeep senza vedere ‘nulla’, ma la natura che lo caratterizza è sempre in grado di ripagare la temporanea assenza di animali. Devo dire che anche qui abbiamo avuto fortuna. Nel raggiungere il nostro accampamento abbiamo assistito ad un tramonto meraviglioso. Proprio quello a cui si pensa quando si tenta di immaginare un tramonto nel bel mezzo della Savana. Ma la natura è stata ancora più magnanima e ci ha concesso di vedere anche uno splendido e raro leopardo. Era nascosto tra l’erba alta, ma l’esperto occhio della nostra guida l’ha scovato. Ci siamo fermati ad ammirarlo, immobili e in silenzio, fino a quando ha deciso di uscire allo scoperto, per arrampicarsi su di un grande albero.

Siamo arrivati all’accampamento esausti, pieni di polvere, ma con la meraviglia negli occhi. La serata trascorsa all’interno del parco è stata senza dubbio la più autentica e merita di essere raccontata. Ad accoglierci abbiamo trovato un giovane Masai, che si prendeva cura del fuoco. Era uno dei guardiani dell’accampamento. Siamo stati a chiacchierare con lui attorno alla fiamma. Mi rendo conto di avergli fatto mille domande, ma ero davvero curiosa della sua vita. Se vi state chiedendo in che modo comunicassimo, io parlo anche il maa, la loro lingua. No dai, sto scherzando , abbiamo usato l’inglese. Lui era infatti un ragazzo fortunato, aveva avuto la possibilità di studiare le lingue e di costruire il suo lavoro attorno a quello. La sua vita però era tutt’altro che moderna. Viveva in un villaggio, uno di quelli che avevo potuto ammirare all’interno di Ngoro ngoro e stagionalmente veniva al Serengeti per lavorare nell’accampamento. Era molto attratto del mio cellulare. Lui non lo possedeva, anche se mi ha confidato di desiderarne uno. Scherzava però sul fatto che non avrebbe saputo chiamare, visto che nessun Masai ha un telefono. Gli ho banalmente chiesto come facesse a restare in contatto con la sua famiglia e lui ha risposto che aspettavano semplicemente il suo ritorno. Si erano salutati e sapevano che da lì a qualche mese lo avrebbero visto tornare. Mi ha chiesto come fosse la vita di noi occidentali e abbiamo riso molto, perché sembrava davvero una chiacchierata tra alieni di due pianeti distanti. Lui mi raccontava di quanto il fuoco è essenziale per tutto e io gli parlavo dei fornelli ad induzione che avevo a casa. Pazzesco, mi rendo conto che mai scorderò quel giovane Masai e quella splendida chiacchierata. In un momento goliardico ha anche provato ad insegnarci, con scarsi risultati, l’uso della sua lancia. L’arma che usava per far la guardia al villaggio. Stavamo infatti dormendo all’interno del parco, non era da escludere che gli animali venissero a farci visita nel bel mezzo della notte, altro motivo per cui il fuoco restava sempre acceso. Li teneva lontani. Era infatti vietatissimo uscire dalle tende da soli. Ricordo la magia di cenare con il sottofondo delle risatine delle iene. Fascino misto ad un po’ di paura, soprattutto quando il Masai mi ha invitato a guardare in direzione della luce della sua pila: una iena si aggirava attorno alle nostre capanne. Vi lascio immaginare cosa voglia dire trascorrere la notte lì dentro. La paura celata dietro l’entusiasmo per la più entusiasmante avventura. Abbiamo dormito con il sottofondo della natura più cruda, i versi degli animali nella notte. Ammetto che ho fatto un po’ di fatica ad addormentarmi, mi sentivo al sicuro, ma un po’ di sana strizza c’era. Eravamo pur sempre ospiti in casa dei leoni. Daniele ha dormito con un coltellino al suo fianco, era assurdo sì, ma ci faceva stare più sereni. Come se con quell’attrezzo avessimo davvero potuto difenderci. Era meglio pensare che fuori da ogni tenda c’erano i Masai a far la guardia, molto più preparati di noi in caso di imprevisti. Che emozioni.

L’indomani siamo partiti come sempre all’alba, pronti a sfrecciare all’interno del parco in cerca di avventure. Gli spettacoli non sono mancati. Siamo finiti nel bel mezzo dello scenario del ‘Re Leone’: nella famosa Valle dei Re. Dove abbiamo potuto ammirare maestosi leoni, che soprassedevano sulle immense rocce. Sentirsi all’interno del celebre cartone animato, è stato inevitabile. Ho appreso però, che in realtà i leoni sono dei veri e propri poltroni, che si scomodano davvero per pochi motivi, lasciando fare tutto alle leonesse. Ma c’è da dire che il loro ruggito è in grado di far vibrare l’aria e di tener alta a prescindere la fama di Re indiscussi.

Altre due sono le scene che vorrei condividere di questa giornata. Una è stata davvero cruda. Una scena di caccia. Mi sono stupita di me, perché normalmente mi impressiono molto davanti al sangue e probabilmente se avessi visto in TV una scena simile, avrei cambiato canale. Dal vivo invece sono riuscita a guardare tutto. Forse perché la brutalità della scena che sto per raccontarvi, era frutto della natura stessa, e ne seguiva semplicemente le leggi.
Una mamma ghepardo ha infatti cacciato una gazzella, per sfamare lei e i suoi cuccioli. ll ghepardo d’un tratto ha cominciato a correre ad una velocità pazzesca, inseguendo un branco di gazzelle. Come potete ben immaginare, la gazzella più lenta, è stata la sfortunata: la preda. L’ha azzannata per il collo e uccisa. È tornata di corsa dai suoi cuccioli con il bottino tra i denti e hanno diviso il pasto. Quei cuccioli, così dolci a vedersi, non hanno fatto tanti complimenti, si sono avventati sulla vittima e hanno pranzato. I volti dell’allegra famigliola si sono tutti insanguinati. Era strano, come osservarli, non mi facesse impressione. Anzi, mi sono quasi intenerita nel vedere come, a fine pasto, mamma ghepardo li abbia ripuliti dal sangue. Leccandoli ad uno ad uno. Della gazzella inutile dirvi che sono rimaste solo le ossa. La dura legge della sopravvivenza.

Ad alleggerire la brutalità della scena di caccia, ci hanno pensato un club di splendide leonesse con i loro cucciolotti, che abbiamo trovato a riposo sotto degli alberi. La pace delle leonesse ci ha permesso di avvicinarci parecchio a loro con la jeep: erano lì a pochi metri da noi. Belle come il sole, in pace con loro stesse e con la natura circostante. Osservare i loro cuccioli, alcuni accoccolati, altri in preda ai giochi, è stato uno spettacolo che ha fatto davvero battere forte il cuore.

Siamo rientrati al campo base sconvolti. La natura era stata in grado di risvegliare le più diverse emozioni.
Vi racconto un aneddoto divertente sulla doccia che ci siamo concessi. Eravamo nel bel mezzo della savana, quindi non c’era acqua corrente. Ci era stato detto infatti di chiamare aiuto, quando ci saremmo voluti lavare. Il mezzo di comunicazione usato per farlo, è stato un woki toki e già qui la cosa è stata divertente. Ma il bello è arrivato quando abbiamo capito come sarebbe avvenuta la nostra doccia. Ci siamo posizionati all’interno di una cabina e da fuori un Masai con un secchio d’acqua, che aveva premurosamente riscaldato sul fuoco, ce l’ha rovesciato in testa. Beh, posso dirlo? Ciaone anche alla jacuzzi, per me quella doccia è stata più indimenticabile di qualsiasi possibile lusso. Vi lascio immaginare quanto abbiamo riso con Dani, osservandoci l’un l’altro, ovviamente ho mandato lui per primo. Un’ulteriore avventura nell’avventura.
L’indomani lasciare l’accampamento è stato davvero un’emozione forte. Eravamo stati lì solo due giorni e due notti, ma le sensazioni che ci ha lasciato quel posto sono state davvero intense. Il viaggio non era ancora finito, ma un po’ di nostalgia già c’era. Eravamo consapevoli di aver vissuto qualcosa di straordinario ed irripetibile. Uscire dal parco del Serengeti, è stato un po’ come uscire dalla realizzazione di un grande sogno. Cominciavo a capire cos’è il mal d’AFRICA.
L’ultimo giorno di safari è stato decisamente più leggero e romantico. L’abbiamo trascorso all’interno del Parco del Tarangire. Una natura davvero meravigliosa ha fatto da sfondo ai nostri ultimi incontri e saluti con gli animali. Una perfetta conclusione di un viaggio che banalmente vorresti non finisse mai.

Credo che un viaggio sia molto importante per due ragioni: per ciò che è in grado di smuovere e risvegliare in noi nel momento presente, e per il cambiamento che ci lascia dentro per sempre. E se son qui a raccontarvelo due anni dopo, è perché questo safari mi ha lasciato davvero tanto. Scrivendo, mi sono resa conto, che il ricordo è più vivo che mai. Se chiudo gli occhi riesco davvero a rivedere tutto e sorrido felice e grata di quello che è stato. Con Daniele ci ritroviamo spesso a parlare di quei momenti. L’amore per quell’avventura, è così presente in noi, che la cameretta del piccolo Brando l’abbiamo realizzata in tema Safari. Disegni di leoni, scimmie, elefanti e gazzelle, affiancati alle foto reali degli animali, scattate durante l’avventura. Ora gli faccio ammirare i colori, ma non vedo l’ora sia un po’ più grandino per raccontargli quanto siano meravigliosi gli animali e la natura, e per narrargli le avventure di mamma e papà. Dando così un significato a tutto ciò, che con amore, abbiamo scelto di appendere nella sua cameretta.
Non credo che lo porterò mai allo zoo, non sarei la persona giusta con cui andarci, gli insegnerò piuttosto a mettere tante monetine nel salvadanaio, affinché un giorno possa vedere con i suoi stessi occhi quel grande spettacolo di vita e libertà.
Una Bionda e Una Penna, una viaggiatrice un tantino nostalgica.
