Venerdì 27 Luglio 2018
Sembrava una giornata come tutte le altre…
Apro gli occhi e come tutte le mattine di questo periodo, trovo vicino a me il mio peloso Zen. No, non ho smesso di dormire con il mio LUI, se è questo che vi state chiedendo, sta semplicemente facendo il turno di notte, quindi non appena se ne va, Zen è subito pronto a rimpiazzarlo sul lettone. Allungo il braccio e me lo coccolo per bene come da routine. Mi alzo, preparo una bella colazione, porto Zen a fare un giretto e in un attimo sono pronta per andare a lavoro. Metto in moto lo scooterone e raggiungo il centro. A lavoro la mattinata scorre liscia e come sempre in un lampo è già ora di pranzo. Metto nuovamente in moto lo scooter e torno a casa. Fa un bel caldo e girare in moto è un piacere, prendo un po’ d’aria, il traffico non è un problema e il viaggio non pesa mai. Zen mi fa le solite feste del buon rientro, sempre come se non mi vedesse da mesi e insieme ci mettiamo in cucina a preparare il pranzo, aspettando LUI. Oggi ai fornelli voglio fare la splendida: spaghetti con le vongole. Nel frattempo messaggio con il gruppo delle amiche per accordarci sulla serata. Dobbiamo festeggiare un compleanno importante e siamo tutte gasate a discutere su posto, cose da fare e ovviamente sull’ outfit da sfoggiare. Cose da donne insomma. Nel frattempo LUI arriva, subisce lo stesso trattamento di benvenuto da Zen e poi ci sediamo insieme per mangiare. Ho cotto talmente tante vongole che i piatti straripano, ma siamo due mangioni quindi con la giusta calma lucideremo il piatto. Si chiacchiera del più e del meno e poi ci stendiamo insieme a letto. Lui per recuperare le ore di sonno della notte ed io invece per fargli compagnia con una pennichella veloce. Stranamente non riesco ad addormentarmi, cosa che di solito avviene velocemente. La testa continua a pensare a più cose e sono inspiegabilmente un tantino agitata, tanto che LUI me lo fa notare. Decido così di non starmene a rigirarmi sul letto, non so star ferma. Nel tempo che mi resta della pausa faccio una doccia e stiro il vestito per la serata. Altra cosa strana, perché di solito non stiro mai, ma tengo davvero molto all’occasione.
In un attimo è ora di ripartite per tornare a lavoro. Jeans, maglietta e via.
Metto in moto lo scooter e percorro la solita strada. Quella che ormai potrei fare ad occhi chiusi. Quella di tutti i giorni. Quella che faccio anche più volte al giorno. Sono lì in sella, che mi godo l’aria, sembra davvero una giornata come tutte le altre, ma non lo è.
Sto andando dritta, quando all’improvviso una macchina proveniente dalla corsia opposta svolta. Lo fa come se io non esistessi. Me la ritrovo così davanti, come un muro all’ improvviso. Capisco di non potere fare nulla. Ci andrò contro. L’istinto ovviamente porta le mie mani sui freni ma non serve a nulla. Ci finisco contro. Il ricordo più indelebile è il rumore dei freni e quello del successivo contatto. L’urto mi fa volare in avanti, fuori dallo scooter. Di lì comincia un istante in cui credo di aver avuto mille pensieri al secondo.
-Cazzo! Sta succedendo! –
-Non mi deve accadere niente di brutto, non può essere. –
-Proteggiti la testa. –
-Devo assolutamente rivedere LUI e tutto il resto. –
-Ho troppe cose da fare. –
-Ce la faccio. –
Volo, asfalto. Altro rumore indelebile: quello della caduta. Il mio istinto in quell’istante mi ha gridato: ‘Sei viva, ma alzati subito e togliti dalla strada. ’ Mi sono tirata sù e ho sentito un gran male alle gambe ma credo che in quel momento sarei stata anche in grado di correre. L’adrenalina era a 2mila, non avevo mai provato nulla di simile. Una forza che forse non era la mia.
Sento dire da una donna:
“Attenzione lo scooter sta perdendo la benzina.”
Mi giro indietro a guardarlo, dio santo è messo davvero male ed io sono intera. GRAZIE GRAZIE GRAZIE.
Mi sfilo subito il casco che mi sta facendo caldo. A questo punto comincio a vedere molta gente accorrere, un uomo in particolare tra tutti mi prende di forza sotto braccio e mi porta dentro un’agenzia che era lungo la strada. Il ragazzo che guidava l’altra auto mi viene in contro allarmato e continua a scusarsi.
“Non ti avevo vista, non ti avevo vista, scusa ho sbagliato.”
Non riesco a dirgli nulla, solo: “Sto bene.” Cosa che mi stavo ripetendo nella testa all’infinito. Mi fanno sedere e solo lì mi rendo conto delle mie gambe. Un lato del jeans è completamente aperto fino alla coscia. Alla vista del sangue mi agito ma non mi sembrano ferite gravi, quindi accetto anche queste. Sto avendo una forza e una calma che non mi appartengono. Sento un uomo al telefono che parla con il 118 descrivendo l’avvenuto e richiedendo un’ambulanza. Lì mi agito, l’ambulanza?!? Comincio a dire a tutti che sto bene e che non voglio un’ambulanza ma mi dicono che è il caso di chiamarla e di stare tranquilla. Chiedo che qualcuno recuperi il mio telefono per chiamare LUI. Ho un estremo bisogno di vederlo. Nel frattempo il signore che mi ha soccorsa arriva con del disinfettante e mi lava letteralmente le ferite. Un sangue freddo che ho ammirato da morire, un bellissimo esempio. Qualcuno mi porta il telefono e finalmente posso chiamare. Cerco il numero e capisco che la mia vista non è al top. Mi ripeto che sono solo molto agitata. Il telefono squilla e per fortuna lui risponde. La classica telefonata che non vorrei mai fare né ricevere.
“Amore sto bene ma ho avuto un incidente. Sto bene ma vieni subito sennò arriva l’ambulanza.”
Gli spiego dove sono e da quel momento spero solo che arrivi, al più presto possibile.
Faccio una telefonata flash anche a lavoro. Ad un certo punto delle persone da fuori dicono che per caso stava passando un’ambulanza e che visto l’accaduto si è fermata. Arrivano quindi i soccorritori e cominciano a fare molte domande per accertarsi sul mio stato di salute. Continuo a ripetere di stare bene, è davvero l’unica cosa che mi viene da dire, a costo di sembrare strana. Il soccorritore guarda le ferite e dice che una ha probabilmente bisogno di punti, lì vado nel pallone, ho sempre avuto paura degli aghi. Mi dice di stare tranquilla, che se ne occuperà l’ospedale e anche lui mi invita caldamente ad andare al pronto soccorso. Mi stecca la gamba e mi mette un collare. La calma che ho mantenuto fino ad ora comincia a sfumare, mi sto agitando e il collare mi dà un gran fastidio. Chiedo di allentarlo ma mi dicono che non è il caso. Devo fare dei respiri e aspettare ancora per pochi minuti l’arrivo dell’altra ambulanza che mi avrebbe portata via. Comincio così a sentirmi mancare le forze ma mi ripeto di stare sveglia. Uso la respirazione come mi ha insegnato mamma e cerco di deviare i brutti pensieri. A quel punto per fortuna arriva LUI. Lo vedo spuntare dalla porta, grazie al cielo. Credo di non essere svenuta proprio perché vederlo mi ha dato un’ulteriore forza. Lo vedo mascherare una faccia in realtà preoccupata, conosco le sue espressioni a memoria. C’è molta gente tra noi due ma gli allungo la mano, ho un estremo bisogno di sentirla. Lui cerca di accertarsi su come sto, chiede cos’è successo e mi ripete di stare tranquilla e di seguire i medici. Il ragazzo che ha provocato l’incidente si avvicina a lui e si scusa più volte, ripetendo ancora di non avermi vista. Lui, come me, riesce solo a dirgli: “L’importante è che sta bene, per il resto ne parleremo.”
Arriva la barella e i soccorritori mi ci caricano sopra. Stare stesa non mi fa sentire bene, vorrei restare seduta ma per ovvie ragioni me lo impediscono. Mi portano fuori dall’assicurazione e mi caricano in ambulanza, cerco di stare tranquilla ma non è per nulla facile in questo momento. Sono stesa dentro quel mezzo che da fuori mi ha sempre fatto tanta paura. Cerco di guardare solo in alto, perché ogni strumento mi fa paura. I tre soccorritori che sono a bordo con me mi misurano pressione e varie altre cose, rassicurandomi. Cominciano poi a sdrammatizzare sull’accaduto e a farmi parlare. Mi chiedono la dinamica dell’incidente e la racconto. Una dei tre mi ripete quanto sono fortunata, dato che di solito il paziente non racconta la vicenda. Mi chiedono se ricordo qualche numero di telefono a memoria che non sia il mio. Provo a dire quello di mia mamma, che normalmente so, ma non riesco a ricordarlo. Lì mi spavento un po’ ma mi dicono che è normale, è l’agitazione. Mi chiedono qual è il grado di dolore che provo in una scala da uno a dieci. Rifletto un attimo e sparo un 4. Loro mi fanno i complimenti: “Abbiamo una tosta.” Continuano a tenermi attiva con domande e battute, sono davvero tre belle persone. Complimenti ragazzi. La donna mi fa anche i complimenti per le ciabattine che indosso e dentro di me mi sento proprio in un momento surreale.
Sarà un sogno? Magari mi sveglio…
In realtà però è tutto dannatamente tangibile.
Arriviamo al pronto soccorso, mi scaricano dall’ambulanza ed entriamo. Continuo a guardare solo in alto, ho paura di vedere cose che potrebbero impressionarmi. Sono una di quelle che ha paura di tutto ciò che è ospedale. Nella vita di tutti i giorni dico sempre che sto bene e praticamente non ci sono mai stata. Questa volta non ho scelta. Fermano la barella davanti ad uno sportello. Credo che spieghino a chi di dovere la mia situazione. Vengo spostata in un letto, mi sollevano in tre e a questo punto i soccorritori mi salutano. Mi stringono la mano e mi fanno i migliori auguri. La donna dice: “Ci vediamo in negozio.” Le avevo detto in precedenza dove lavoravo.
Ribadisco ancora che sono state tre persone meravigliose. GRAZIE!
Resto lì sola per qualche istante, a guardare ancora in alto le luci metalliche dell’ospedale. Continuo a vagare con i pensieri ma poi ritorno sempre allo stesso: “Sono stata fortunata. Il resto passa.”
Arriva un’infermiera e mi spinge fino dal medico per la visita. Tremo. Ho paura dei punti e di quello che può dirmi. Il dottore, una persona ferma e distinta, non lascia trapelare nessuna emozione, è davvero strano ma credo che la fermezza d’animo sia una delle principali attitudini di un medico. Siete davvero i migliori eroi. Fortunatamente dice che i punti non sono necessari, mi toglie il collare e mi fa mettere seduta. Finalmente. A questo punto comincia girarmi la testa ma mi dicono che è normale. Bevo dell’acqua, mi rimisurano la pressione e mi fanno notare che sono bianchissima ma mi ripetono che è per lo spavento. Vengo spostata in una sedia a rotelle e accompagnata a fare i raggi. Non vedo l’ora che tutto finisca. Sono stremata. Faccio i raggi e non appena esco dalla sala finalmente sento:
“Oi.”
Ritrovo lui e lo abbraccio. Qui credo di aver avuto un crollo della tensione perché sono scoppiata a piangere. Lui con il suo solito fare da duro, ha cercato di sdrammatizzare, con quelle battute e quelle frasi che gli appartengono:
“Credevi tu di andare in ospedale solo per partorire!”
Credo di averlo mandato benevolmente a fanculo ma in quell’istante avevo proprio bisogno di una delle sue battute da orso. Attendiamo insieme l’esito dei raggi e di tutti gli esami. Sta finendo. Non ho neanche più idea di che ora sia.
Arrivano gli esiti. Non ho nulla di rotto, solo una serie di contusioni un po’ ovunque ma STO BENE. Posso tornare a casa. GRAZIE!
Ovviamente mi raccomandano di monitorare come starò con il passare delle ore. Ora voglio solo uscire da qui. Piano piano mi alzo e con il mio jeans penzolante e le ciabattine fashion ma rotte lascio il pronto soccorso.
Ci tengo moltissimo a ringraziare tutte le persone che ho incrociato all’interno di questa struttura. Nel vostro piccolo siete stati tutti spettacolari e molto gentili. Prima di questo incidente dico la verità che mi facevate tutti un po’ paura ma ora credo davvero che siate dei piccoli angeli. Il vostro lavoro è una vocazione e voi siete persone speciali. GRAZIE ANCORA.
Uscire all’aria aperta è una sensazione bellissima, sono frastornata al 100 per 100 ma felice al 110 per cento. Barcollo un tantino e faccio strani versi per camminare e il mio LUI ovviamente riesce a prendermi anche in giro. Saliamo in macchina e ci lasciamo alla spalle l’ospedale.
LUI si ferma in farmacia a prendere tutto ciò che ci hanno ordinato e gli aggiungo alla lista un thè pieno di zucchero. Di solito non bevo mai bevande zuccherate ma ora ne sento l’estremo bisogno. Mi attacco alla bottiglietta e me la scolo. Wow.
Arriviamo finalmente a casa. Mi tolgo i vestiti e mi stendo sul divano. E’ FINITA.
Finalmente arriva anche il mio peloso che è stranamente delicato nei miei confronti. Di solito mi salta addosso ma questa volta mi si siede a fianco. Faccio le telefonate necessarie per avvertire e rassicurare un po’ di persone. Credo di aver ripetuto la frase “Sto bene” per un centinaio di volte di seguito!
Ora è passato qualche giorno dall’incidente. Sono dovuta tornare al pronto soccorso, perché ovviamente il giorno dopo mi sono svegliata con male ovunque. Come se avessi preso una randellata di botte. Ho fatto ogni tipo di accertamento ed è tutto in ordine, devo avere solo tanta pazienza. Non vedo l’ora di sentire il mio corpo com’era prima e farò tutto ciò che è necessario affinché avvenga il prima possibile.
Mi sono chiesta più volte se era il caso di scrivere questo articolo. Ho aspettato qualche giorno per farlo. Ma poi il mio istinto mi ha detto che era giusto. L’ho scritto perché credo che niente accada per caso. Probabilmente questo incidente mi doveva capitare e ho qualcosa da imparare anche da qui. Dicono di me che ho il talento di trovare del positivo anche nelle situazioni negative e ho voluto provare a farlo anche questa volta.
Anche se non è stata in alcun modo colpa mia, visto che andavo ad una giusta velocità ed ero al mio posto, forse devo essere comunque ancora più attenta, più tranquilla, cercare di avere meno fretta e apprezzare ancora di più tutto quello che ho. Per quanto riguarda il ragazzo che ha causato l’incidente, non mi sento di giudicarlo. Sono certamente po’ arrabbiata, principalmente per il fatto che sono una persona super dinamica e avere questi dolori ora è per me un limite difficile da sopportare. Ma tutto passa, quindi con calma torno nuova. In cuor mio l’ho già perdonato ma gli raccomando di fare il triplo dell’attenzione alla guida, perché è difficile non vedere una moto nella corsia opposta, se si guida correttamente. Probabilmente qualche distrazione di troppo ci sarà stata ma altrettanto probabilmente questo può capitare a tutti noi.
Dobbiamo stare attenti alla guida!
E a tutti quelli che come me amano moto e scooter raccomando il casco integrale, perché a me ha salvato la faccia.
Spero di avervi regalato uno spunto di riflessione e aver condiviso con voi delle emozioni utili. Ringrazio ancora tutti quelli che mi hanno aiutata e tutte le persone che con un messaggio o una telefonata mi sono state vicine. Sono di marmo ragazzi! Non temete! A presto!
Una Bionda e Una Penna